Anche la felicità è un adepta all'abitudine .
dell'abitudine.
Anche lei è una dipendente.
Si adegua sgualdrinescamente.
La felicità si accomoda e si sta.
Pondera con non senso ogni ritmo.
Lo ascolta e lo divora.
Sazia si ferma.
La felicità è abitudinaria.
Si accontenta di poche gocce di vodka al retrogusto di lime.
La felicità è così poco elegante.
E' come una vecchia vicina di casa affacciata ad urlare qualcosa.
Come le merende quando si è ancora infantili.
La felicità è torpore.
Incombe irreale e irrazionale tra un ricordo e un altro e poi tace.
Inumana.
La felicità sembra una zia o una cugina che non incontri mai e si sorride per pregio o difetto.
Lei batte la punta del piede per trarne il tempo.
Il ritmo decisamente sincopato.
La felicità è stretta in sé mentre c'è il commiato.
Sta lì sorniona ad ascoltare ogni sorso di vodka e ogni boccata d'aria.
Lei è una parente e un infedele compagna sempre ben vestita e mai sobria.
Aspetta imperterrita il suo turno poi si ritira nelle vesti color porpora.
Lei è un impiegata che aspetta il suo turno.
Quasi distante.
Mai indelicata.
Decentemente invadente.
fino alla fine
«La felicità è così poco elegante». Già.
RispondiEliminaE noi così signori, contenuti e borghesi nelle nostre cupe riflessioni.
Poi arriva, ci strappiamo i soprabiti e in un istante – senza che quasi ce ne accorgiamo – siamo nudi e sbrandellati, ridanciani e scomposti, a schizzarci d’acqua tra le onde del mare di quando eravamo bambini.
E ce ne fottiamo di quel bisogno di eleganza, della profondità, della discrezione.
Peccato duri poco.